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Sonic Labyrinth esce nel 1995 per inserirsi nella schiera di spin off della saga di Sonic presenti su Sega Game Gear. Una serie di giochi dove era possibile trovare shoot ‘em up, come nel caso del tutto nipponico Tails’ Skypatrol, pinball game, racing ed appunto puzzle. Nelle ingannevoli “classifiche” che cercano di catalogare ora i migliori giochi di una saga, ora i più deludenti, Labyrinth negli anni è finito spesso con il conquistare le prime posizioni di quest’ultime, rivaleggiando con l’approssimativo Sonic Blast (G Sonic, da non confondersi con 3D Blast). In questo genere di classifiche però spesso gli autori si concedono di sacrificare i titoli meno noti e meno giocati in favore dei capitoli più amati. E’ il caso di Sonic Labyrinth?

Un espediente per iniziare o per mascherare?
La storia di Sonic Labyrinth come molti giochi dell’epoca è tutta raccontata sul manuale di istruzioni. Nel gioco infatti a parte la sequenza finale e la schermata di avvio, si assume per tutto il tempo il controllo di Sonic senza avere ulteriori distrazioni. Robotnik ancora una volta deve ricominciare tutto da capo, Sonic riesce sempre a fermare i suoi piani in tempo e le sue trappole ogni volta si dimostrano troppo lente per fermarlo. “E se provassi a portargli via la velocità?”. Robotnik così si mette al lavoro per creare degli stivali capaci di rallentare persino l’odiato riccio, chiama uno dei suoi più fidati robot e gli ordina di introdursi nella casa di Sonic per scambiare gli stivali con le sue sneakers. Ignaro al mattino, Sonic li indossa senza notare alcuna differenza, finchè non apre la porta di casa per uscire come suo solito a correre. Robotnik è lì a godersi la scena. Solo gli smeraldi del chaos potranno levare gli stivali, ma attualmente sono nelle mani dello stesso Robotnik e per prenderli bisogna addentrarsi nel suo nuovo labirinto. Sonic però oltre ad essere veloce di gambe usa sempre la testa: gli stivali impediscono ai suoi piedi di muoversi velocemente, ma non bloccano la sua accelerazione rotante. “Ok Robotnik vengo a prenderti”. Inizia così Sonic Labyrinth, con un espediente per giustificare la nuova tipologia di gioco e le regole che lo contraddistinguono. In realtà però, la storia potrebbe anche essere vista come un modo per mascherare quello che spesso viene indicato come il vero problema del gioco: la mancanza di velocità. Così come al contrario, una scelta per evitare di ritrovarsi con un clone di Marble Madness. Ma andiamo per gradi.

Keeper of the Three Keys

Occhio al tempo

Nel labirinto dello scienziato:
Sonic Labyrinth è un puzzle game con influenze platform in visuale isometrica. Ci sono un totale di quattro zone, ognuna composta da quattro livelli. Il nostro compito è cercare all’interno di ogni livello tre chiavi in modo da poter aprire l’uscita. Le chiavi possono trovarsi all’interno di qualche badnik o semplicemente disseminate nei livelli. Sonic, come spiegato dalla storia, si muove lentamente e non può neanche saltare, per completare le zone prima dello scadere del tempo è necessario muoversi utilizzando lo spin dash. Durante le accelerazioni non possiamo influenzare la traiettoria, dovremo quindi muoverci facendo affidamento sulle 8 direzioni del d-pad, con la possibilità eventualmente di frenare. La potenza del nostro spin dash potrà essere regolata, basandoci su un puntatore che comparirà vicino a Sonic quando inizieremo a caricare l’attacco.
Una voltra entrati nel menu troviamo tre voci: Normal Game, che non è altro che lo story mode ed il gioco vero e proprio, Time Attack, limitato ad una sola inedita zona e Config, dove impostare alcune opzioni.
Nel corso del gioco, trovandoci in uno spin off, si perdono alcuni elementi alla base della saga. Sonic durante gli stage infatti deve trovare solo le bramate chiavi, facendo attenzione allo scadere del tempo. Qualsiasi danno subito, da ostacoli o da badnik, va a sottrarre preziosi secondi. Alcuni stage sono relativamente lineari, ma nel corso del gioco ci ritroveremo ad affrontare zone dove è necessario sfruttare un po’ di memoria visiva. Ci ritroveremo infatti a dover ricordare le diverse direzioni nelle quali ci ha già sparato un cannone o le porte dalle quali siamo già usciti (o entrati).
Una nota positiva nella differenziazione degli stage, è che i livelli più contorti trovano posizione giustamente solo verso la fine del gioco e nel corso dello stesso difficilmente si trovano passi troppo frustranti. Gli elementi di zona come molle, acceleratori, cannoni ed alette, aiutano nell’opera di differenziazione, definendo stage che possono essere ora caratterizzati da un elemento, ora da un altro totalmente differente. Non è difficile infatti, associare una zona o anche un singolo livello, con un elemento come possono essere i cannoni (Labyrinth of the Sea 2-1) o le piattaforme mobili ed i teleport (Labyrinth of Factory 3-1).
I vecchi e cari anelli tornano alla ribalta solo nel corso dei combattimenti con i boss (o nello stage speciale), che troviamo puntalmente alla fine di ogni zona. Prima di ogni combattimento veniamo catapultati in una lunga discesa, dove bisogna cercare di prendere più anelli possibile, in modo da aggiudicarsi almeno un’agognata vita (con i canonici 100 anelli). Durante i combattimenti con i boss viene meno il problema del tempo ed in caso di colpi subiti si perde come da tradizione il bottino, senza però possibilità di recuperarlo. Conviene quindi non prendere tutti gli anelli (i pochi) che troviamo nei pressi del boss, in modo da tenerci una riserva nel caso le cose dovessero complicarsi. A fine combattimento ad aspettarci ci sarà uno dei cari smeraldi.
I boss, così come i badnik, appaiono decisamente curati. Alcuni di loro finiscono per ricordare Sonic 2, in particolare Oil Ocean Zone.

Badnik alla Sonic 2

Sfondo alla Street of Rage

Gioie e dolori di uno spin off:
Sonic Labyrinth così come come Sonic 3D Blast cercava di portare Sonic in una nuova dimensione, facendo affidamento sulla visuale isometrica, tanto cara a Sega fin dai tempi del celebre Zaxxon. I problemi principali di questi Sonic erano le difficoltà nel controllare il personaggio e la mancanza di velocità, persa probabilmente per la difficoltà di gestire un personaggio veloce, in una struttura del genere su determinati hardware. In Sonic Labyrinth, per quanto Sonic sia lento come da copione (o meglio come da libretto), i movimenti base appaiono poco fluidi e non sempre è semplice accelerare nella direzione voluta. Un Sonic esente da questi problemi e che di fatto aprì questo filone isometrico, era SegaSonic the Hedgehog, un arcade realizzato niente poco di meno che da Am3 sulla scheda arcade Sega System 32. SegaSonic the Hedgehog oltre a fare affidamento su un hardware di tutto rispetto, era dotato di una trackball per rendere i movimenti più precisi. Naka stesso da buon perfezionista, evitò di inserirlo nelle Mega/Gems Collection proprio per l’impossibilità di riprodurre fedelmente il sistema di controllo.
Addossare colpe agli sviluppatori Minato Giken più del dovuto per Sonic Labyrinth, gioco prodotto su un hardware ben differente e con un sistema di controllo ancora più limitato di un semplice pad per console, appare quindi decisamente inutile. Una volta presa la mano, il gioco appare comunque godibile. La formula platform mista puzzlegame appare chiara fin dai primi stage e più che creare un clone di Marble Madness, sembra che l’obiettivo degli sviluppatori fosse creare uno spin off che comunque avesse ancora dei legami con il gioco di partenza.
Possiamo ritrovare un esperimento simile in America con lo sfortunato Sonic Spinball, dove le meccaniche pinball racchiudono timidi retaggi platform. Labyrinth però, diversamente dalla produzione del Sega Technical Institute, offre un’esperienza più piacevole ed immediata, soprattutto per un portatile. Il vero problema del gioco, al di là del sistema di controllo sul quale dato l’hardware è possibile chiudere un occhio, è la sensazione di giocare con qualcosa di incompleto o che comunque abbia subito una frenata durante lo sviluppo. I quattro stage, per quanto tutti caratterizzati a dovere, appaiono troppo brevi, inoltre nel manuale viene accennata alla presenza di due stage bonus, per quanto ce ne sia solo uno. La mancanza di questo stage viene messa in evidenza anche nel finale, dove il chaos emerald mancante ci viene praticamente regalato. Anche il time attack con una sola zona, per quanto inedita e realizzata per un contest, appare incompiuto.
Questa sensazione di incompletezza non aiuta Sonic Labyrinth ad avere un’identità ben definita. Oggi però resta una esperienza piacevole ed adatta ad una console portatile, soprattutto per chi cerca un gioco non troppo frustrante e dove il raggiungimento del finale non sia una chimera. La presenza di alcune condizioni per ottenere la good ending offrono anche una buona rigiocabilità, sopperendo in parte al numero limitato di zone.

PRO:

  • Stage vari e ben caratterizzati
  • Idea perfetta per un portatile
CONTRO:

  • Controlli poco fluidi
  • Evidenti segni di tagli

Credits:
Sharkone“Remember Laya’s Law”