[tabset style=swiblu]
[tabs tabname=”Speciale 25°”]

29/10/1988-29/10/2013: 25 anni di gloria di una console che ha fatto la storia!

Il 29 Ottobre del 1988 esce in Giappone il Mega Drive. Da quel giorno il mercato dei videogiochi cambia per sempre, trascinato dal genio e dall’avanguardia dei team e dei manager Sega del tempo. Il Mega Drive cambia il mercato e Sega stessa, portandola a toccare vette prima mai raggiunte, ma cambia anche e soprattutto i fortunati suoi acquirenti, offrendogli delle avventure e delle esperienze che li cattureranno per sempre.

Nello speciale ripercorriamo alcuni dei giochi che hanno fatto la storia di questa macchina e che più ci hanno colpito durante quei fantastici anni. A fare compagnia ai titoli selezionati troviamo alcuni outsider/cult. Dei titoli forse non tra i più citati oggigiorno, ma che per un motivo o per un altro sono tornati alla ribalta o comunque all’epoca ci hanno accompagnato lungo il cammino. Un cammino a 16 Bit nel segno del Blast Processing.

[/tabs]
[tabs tabname=”City Hunter”]

Parlare del Mega Drive significa parlare della grande Sega, quella spavalda, aggressiva, rivoluzionaria, techno-punk, coraggiosa e di successo di un’epoca d’oro per i videogames come lo è stata la generazione 16 Bit.
In circa otto anni Mega Drive ha macinato tantissimi successi che hanno cambiato radicalmente il mondo dei videogiochi e Sega stessa, trasformandola in uno dei pesi massimi del settore.
Un successo che si è tramutato soprattutto in una console con un catalogo sterminato, capace di coprire ampiamente tutti i generi allora esistenti, portando gli arcade in casa ed andando anche oltre grazie agli add-on. Il contributo che questa console ha dato a Sega ed al mondo dei videogiochi è stato d’ispirazione per tutto quello che è venuto dopo.
Auguri ammiraglia Sega.

Sonic 3 & Knuckles

Dopo i successi dei primi due capitoli, Sega decise di creare il Sonic più grande di sempre, un progetto ambizioso che venne diviso in due giochi, Sonic 3 la prima parte e Sonic & Knuckles la seconda.
Grazie alla tecnologia Lock-On della cartuccia di Sonic & Knuckles, era possibile collegare fisicamente la cartuccia di Sonic 3 per trasformare il gioco nell’avventura completa Sonic 3 & knuckles, un mostro di ben 14 enormi livelli, 3 personaggi con diversi 3 story mode per ciascuno, modalità multigiocatore e sistema di salvataggio.
Il tutto condito come sempre da una grafica colorata e velocissima, tra le migliori sulla console, un Sonic animato meglio di un cartone animato e da una colonna sonora che esaltava il chip sonoro dell’MD.
La portata del gioco traspariva anche dai vari dettagli, come ad esempio l’introduzione dei primi intermezzi animati, il primo passo che avrebbe portato successivamente al Sonic rpg meglio conosciuto come Sonic Adventure.
Sonic 3 & Knuckles resta ancora oggi non solo uno dei migliori Sonic, ma uno dei migliori giochi della generazione 16 bit.

Thunder Force III
Durante l’epoca 16 bit quando si parlava di sparatutto su console non ci si riferiva agli FPS ma agli shoot’em up, il genere più hardcore, sempre protagonista delle line up delle console Sega.
Mega Drive poteva vantare una ricca collezione di shoot’em up di tutti i tipi, ma tra questi spiccava la serie Thunder Force. Ancora oggi è considerata come un classico del genere shoot’em up, e seppur il primissimo capitolo sia comparso solo sugli home computer giapponesi, la serie si è evoluta ed ha avuto successo proprio sul Mega Drive.
Scegliere quale sia il migliore tra i vari capitoli è difficile, è come scegliere tra vino rosso e vino bianco, va a gusti, ma Thunder Force III in particolare resta un modello del perfetto shoot’em up, perfettamente bilanciato con una difficoltà ed una curva di apprendimento ideale sia per il neofita che per l’hardcore gamer, se vogliamo l’antitesi dei vari bullet hell.

Shining Force 2

Mega Drive non era certo famosa per essere la console degli RPG, una cattiva reputazione dovuta in parte alla propensione della macchina verso i generi più action-arcade, ed in parte al fatto che i maggiori esponenti di questo genere marchiati Enix e Square (parliamo di Dragon Quest e Final Fantasy) si trovavano su SNES.
In realtà Mega Drive fu la casa di molti RPG di alto livello dei più svariati tipi, basterebbe citare anche solo la serie Phantasy Star per mettere a tacere gli eterni detrattori della console, ma un’altra storica serie vide la sua nascita proprio sul 16 Bit Sega, parliamo ovviamente della serie Shining.
Iniziata con il dungeon crawler in prima persona Shining in the Darkness, la serie prese subito una nuova strada già col secondo capitolo, Shining Force che diventò uno dei pioneri del genere rpg strategico.
Shining Force 2 uscito circa un anno dopo migliorava il predecessore sotto tutti i punti di vista, proponendo battaglie ancora più grandi e tattiche, il ritorno dei comodi menù “alla Shining”, diventati successivamente un marchio di fabbrica, una grafica migliorata con scene di battaglia ancora più spettacolari ed evocative, una colonna sonora epica ed una storia che non mancava di colpi di scena.
Una delle tante dimostrazioni di come il Mega Drive potesse trasformare un punto debole in un punto di forza.

Yu Yu Hakusho Makyo Toitsusen [CULT]
Treasure era un team poliedrico capace di spaziare in diversi generi, dai classici run & gun ai platform, dagli shoot’em up agli rpg e così via.
Nel 1994 fu la volta dei picchiaduro, nacque così Yu Yu Hakusho Makyo Toitsusen, gioco basato sull’omonimo manga di Yoshihiro Togashi, ancora sconosciuto ai tempi in Italia.
Invece di clonare Street Fighter II, Treasure decise di dar vita ad una formula tutta sua a cominciare dal sistema di controllo, meno arzigogolato rispetto al picchiaduro Capcom e capace di adattarsi anche al pad a 3 tasti senza grandi sacrifici.
Il combattimento avveniva in arene su due piani alla Fatal Fury dove potevano prendere parte all’azione 4 giocatori in contemporanea grazie al multi tap.
I rimandi a Street Fighter erano limitati agli input delle mosse speciali con i classici quarti di cerchio, ma l’azione era focalizzata sull’uso strategico del due piani di gioco.
Il gameplay offriva diverse chicche, per citarne una era possibile caricare un colpo speciale al massimo, cancellare il colpo ed usarlo successivamente mantenendo comunque la carica accumulata.
Il gioco purtroppo è rimasto confinato in Giappone ma i giocatori Occidentali hanno potuto apprezzare comunque il raffinato gameplay anche se indirettamente, dal momento che il sistema di gioco di Yu Yu divenne la base di Guardian Heroes, altro capolavoro di Treasure su Sega Saturn.
Yu Yu Hakusho resta non solo uno dei migliori picchiaduro a 16 bit, ma anche una delle licenze anime meglio sfruttate.

[/tabs]
[tabs tabname=”Hittakara”]Quando si parla di Mega Drive si portano spesso e involontariamente alla luce ricordi di una delle “console war” più accese di sempre, forse la più pura, la “console war” per eccellenza.
Contrastare Nintendo non sarebbe stato facile per nessuno. Come avrebbe potuto, un’azienda come Sega, che già accusò i colpi lanciando il glorioso Master System contro quella macchina trita vendite chiamata NES, rispondere senza essere spazzata via da quell’aura di perfezione che circondava il 16-bit di Kyoto? Semplice, iniziando ad eccellere in ciò che da lì in avanti l’avrebbe resa grande: innovazione, Sega Style e tanta voglia di osare.
Per quanto resti legato affettivamente a quel gioiellino ad 8-bit che fu il piccolo Master System, è oggettiva la maturazione che Sega raggiunse con il suo fratellone. Una maturazione che coinvolse anche importanti saghe nate proprio nella generazione precedente, come Shinobi, Golden Axe, Streets of Rage, Space Harrier e chiaramente Sonic, che videro nelle loro vesti a 16-bit la consacrazione definitiva.
Ad essi si affiancavano una marea di nuovi brand che contribuirono ad innalzare nel tempo l’incredibile rapporto quantità/qualità che rese grande il Mega Drive, anche grazie all’ottimo supporto delle terze parti che regalarono al mondo quel gioiello chiamato Strider ed autentici pezzi da 90 quali Castlevania: the New Generation, Alisia Dragoon, Rocket Knight Adventures e molti altri.
La console della qualità e del buon gusto estetico, con un controller tra i migliori di sempre, e dei colori e uno stile grafico figli di quel “Blue Sky” che, soprattutto con un buon cavo scart, apriva le porte per un mondo da cui era difficile tornare indietro.
Piange il cuore nel vedere come Sega sia riuscita a rovinarsi con le proprie mani negli anni e come continui a farlo quasi senza neppure accorgersene; ma per chi vuole godere del suo mitico passato, c’è un intero universo da esplorare ed il Mega Drive è parte importante di questo patrimonio.
Ad oggi il glorioso samurai nero è uno dei pezzi più seguiti dagli appassionati di retrogaming, grazie ad un parco titoli esagerato e in grado di mettersi in bella mostra in collezione anche per merito di alcune cover, specie giapponesi, semplicemente splendide.

The Revenge of Shinobi

Prendete un tenero bambino che tra i suoi cartoni animati preferiti aveva quelli basati sul mondo ninja, che al ritorno dalla mensa scolastica amava giocare con i suoi compagni di classe a fare i ninja (usando gessi come shuriken e banchi come fantomatiche mura da scavalcare) e che pure quando doveva arrampicarsi su qualche albero lo faceva credendosi un guerriero dell’ombra; dategli un gioco chiamato Shinobi e sviluppato da una delle migliori Sega di sempre, con un protagonista perfettamente caratterizzato e magari con l’aggiunta di musiche realizzate non da un compositore come tanti, ma da un certo Yuzo Koshiro e diventa facile capire come Shinobi sia diventato prepotentemente una delle saghe Sega a cui mi senta maggiormente legato.
Per quanto notevole fu il primo capitolo apparso su Master System e godibile quello apparso su Sega Saturn, fu su Mega Drive che la serie raggiunse l’apice del suo splendore e in particolare con The Revenge of Shinobi, un action game di altissimo livello sotto tutti i punti di vista: gameplay, level design, musiche, originalità. Una vera fonte di ispirazione non solo per il genere e la concorrenza dell’epoca, ma anche per alcuni titoli delle generazioni successive.

Super Hang On

Credo di essere una di quelle poche eccezioni in cui un appassionato di uno sport motoristico non vada particolarmente d’accordo con la rispettiva rappresentazione videoludica se simulativa, ma preferisca ad essa un’eventuale controparte arcade. Ho sempre amato e seguito il motociclismo, ma i rapporti con i vari simulatori usciti negli anni, sinceramente, non sono mai stati dei migliori.
Hang On non è una saga come tante: è uno dei figli prodighi di Sega, una SH che in fatto di arcade può solo che insegnare, nonché uno dei componenti della leggendaria triade arcade dell’epoca insieme ad Out Run ed After Burner.
La versione con due ruote in meno di Out Run manteneva gli stessi identici punti di forza del titolo delle Rosse e di ogni buon arcade Sega per eccellenza: stile grafico unico, musiche di altissimo livello, immediatezza e profondità di gioco, velocità granitica; in più con l’esclusività delle due ruote ed una vaga ispirazione al mondo del Tourist Trophy.
Motociclismo e arcade Sega: per un appassionato di entrambi, i videogiochi avrebbero potuto smettere di esistere anche il giorno successivo.

Streets of Rage 2

Uno dei punti di forza di Sega come software house è sempre stato quello di riuscire ad offrire giochi di qualità coprendo sostanzialmente ogni genere. E in era MD lo fece diventando grande protagonista in uno dei generi più in voga in quel periodo: quello dei picchiaduro a scorrimento.
In mezzo ai classici Double Dragon e Final Fight di Capcom, la grande S lancia la trilogia di Streets of Rage, vero e proprio fiore all’occhiello della filosofia segara del tempo.
Per quanto l’intera trilogia si attestasse su standard qualitativi molto alti, continuo a ritenere ad oggi il secondo capitolo il più riuscito e quello che indubbiamente consiglierei a chiunque fosse interessato a mettere mano per la prima volta sulla saga. Stilisticamente, musicalmente (e parlando del sonoro in generale, effetti inclusi) e dal punto di vista strettamente “giocoso”.
La colonna sonora era curata anche qui dal maestro Y. Koshiro, con il risultato di ricordare oggi il gioco anche per alcuni suoi indimenticabili temi musicali a distanza di così tanti anni.

Castlevania: the New Generation [CULT]

Pensando ad una serie storica come Castlevania, si scopre spesso che una larga fetta di appassionati ha iniziato ad affezionarsi alla serie con il noto Symphony of the Night per PSX.
Questo vale però meno per il sottoscritto e per tanti altri fan Sega, che già in epoca Mega Drive avevano dalla loro un capitolo dedicato alla storica saga fantasy medioevale di Konami dalle qualità indiscusse: the New Generation.
Attraverso due personaggi da poter scegliere, John Morris ed Eric Lecarde (rispettivamente equipaggiati di frusta dei Belmont e lancia), il gioco ci permetteva di avventurarci nella più classica delle avventure alla Castlevania, lungo caratteristici e suggestivi stage, tipici mostri della serie ottimamente realizzati e sistema di gioco tipico, con potenziamenti e l’immancabile gamma di armi secondarie. Notevole anche la colonna sonora, che accompagnava una resa grafica ben curata.
Un titolo di cui non sempre si sente parlare quando si pensa al Mega Drive, ma che possiamo inserire di diritto nella lista dei più importanti “pezzi grossi” realizzati all’epoca dalle terze parti per il 16-bit della grande S.
[/tabs]
[tabs tabname=”Sharkone”]

Diciamolo, scegliere tre giochi tra l’intera softeca Mega Drive non è un’impresa semplice. Più si pensa più si rischia di tirare fuori orde di capolavori, barbari spadaccini, Bronx pericolosi, scuderie di F1 impazienti di vincere, ricci esplosivi, delfini saltellanti, disegnatori accompagnati da un ratto e chi più ne ha più ne metta. Sembra quasi di tornar bambini, quando davanti al banco dei dolci di qualche pasticceria un nostro genitore, un nonno o chi per lui ci invitava a scegliere un dolce da mangiare. Si rischiava di spazientirli, mentre indecisi si veniva rapiti da odori, profumi, colori e forme. Il Mega Drive è stato il mio negozio di dolci preferito e come tutti i negozi di dolci mi ha offerto dolci famosi, di lunga tradizione ma anche pasticcini meno conosciuti ma non per questo meno saporiti. Il Mega Drive resta la console più importante della storia di Sega, il sistema che ha fatto sì che decine di milioni di giocatori conoscessero la magia del reparto arcade e consumer della Grande S. Senza il Mega Drive oggi avremmo un bagaglio videoludico notevolmente diverso ed immensamente più povero. Ai giocatori resta tramandare questa fantastica storia, che ha portato la software house più poliedrica di sempre in cima al mondo in un mercato prima di allora monopolizzato dall’eterna rivale. Ai manager Sega resta un’eredità della quale dovrebbero ricordarsi ogni giorno per capire cosa oggi non funziona e cosa prima andava alla grande.

Sonic The Hedgehog:
Parlare del Mega Drive porta inevitabilmente a parlare di Sonic. Sonic è stata la bandiera di quella Sega e di quella dirigenza, la scintilla che ha scatenato il blast processing nei salotti di giovani e meno giovani. La mente torna alle prime corse su Green Hill, i primi giri della morte, i primi scontri con Robotnik. Sonic diventava in quel momento il Mega Drive ed il Mega Drive diventava Sonic, si spegneva la console sapendo che non si sarebbe mai più abbandonato quel joypad e quella software house. Oggi ricordare il primissimo Sonic ed i suoi seguiti su Mega Drive è ancora più importante, perché ricorda non solo cosa era il nostro riccio blu e l’ammiraglia a 16-Bit, ma anche cosa era Sega. Cosa significava la cooperazione tra reparti occidentali e giapponesi della compagnia (in quella fantastica fucina che era il sega Technical Istitute), cosa significava il level design, cosa significava lavorare giorno e notte per offrire ai propri sostenitori e futuri acquirenti un gioco senza compromessi, senza sbavature, dove tutto era a portata di pad. Cosa significava puntare la Luna e le stelle e non guardarle dietro ad un vetro. Quando si spegneva il Mega Drive dopo una scorrazzata per Star Light quel vetro improvvisamente spariva: niente era più come prima.

Phantasy Star III:
Phantasy Star è stata una delle saghe più importanti dell’era del Mega Drive, uno dei progetti più amati dal CEO Nakayama e dai suoi programmatori. Naka, Oshima, Kodama. A citare i nomi di quel team di sviluppo viene ancora oggi la pelle d’oca, come se si stesse per elencare una formazione di calcio imbattibile. Tutti campioni, tutti palloni d’oro, tutti giovani ragazzi/e al servizio della compagnia più grande di sempre per l’rpg più grande di tutti. Phantasy Star II fu tra i primi titoli di peso prodotti per il 16-bit di casa Sega, un gioco che segnava come per il primo un nuovo apice con il quale doversi confrontare. Con Phantasy Star III tuttavia si assiste ad un cambio della guardia all’interno del team di sviluppo, preso dai diversi pezzi da ’90 in produzione nei quartieri generali di Sega. Il team ridimensionato e con pochi superstiti sviluppa un titolo che fin da subito divide la community del gioco ma che con il tempo acquista valore per la sua indubbia personalità. Ancora oggi quando osservo rassegnato le lineup di Sega of Japan sogno ancora di poter varcare le porte di un gioco con la magia di quei continenti sconfinati, capace con la ramificazione dei personaggi e delle loro relazioni di immedesimare il giocatore non in un unico personaggio ma nell’intera sua generazione. In PSIII non erano importanti le nostre azioni e relative conseguenze nel breve periodo, ma l’intero percorso dei personaggi e popoli che rappresentavamo. Orakio e Laya erano le due facce di Sega, divise da tradizioni e cultura ma nutrite dalla stessa fiamma, pronte ad unirsi per un bene superiore che oggi purtroppo sembra ormai abbiano dimenticato.

Golden Axe:
Golden Axe colpiva fin da subito per il suo riuscire ad amalgamare la filosofia arcade e la perfezione delle meccaniche, ad una ricercatezza dello stile e del mondo di gioco fuori dal comune, riuscendo a non sacrificare nessuno dei due aspetti. Oggi siamo abituati a giocare titoli con mondi ultra complessi ed ultra dettagliati, ma con delle meccaniche spesso abbozzate che fanno sorridere (o meglio inorridire), oppure al contrario siamo abituati a giocare titoli meritevoli sotto il profilo ludico, ma che purtroppo per un divario di risorse incolmabile non riescono ad offrire mondi altrettanto appaganti. Golden Axe invece, grazie alla genialità ed operosità della grande S, premiava il giocatore con delle dinamiche arcade della migliore scuola, condite da un sistema di punteggio particolarmente complesso. In aggiunta a tutto questo inoltre il giocatore veniva catapultato in un lungo viaggio verso mondi lontani, tra creature fantastiche e villaggi in pericolo dallo stile unico. In Golden Axe niente era lasciato al caso, niente era fuori posto. La crème del pensiero Sega di un tempo. Per quanto la versione MD per ovvi motivi fosse inferiore alla controparte arcade (anche nel sistema di punteggio), tuttavia continuo ad esserci affezionato, anche per una palette cromatica diversa che puntava a donare alla conversione una sua precisa personalità.

X-Men: [CULT]
Tra le voci fuori dal coro vorrei parlare di X-Men, un gioco che magari non ha fatto la storia di quegli anni e non ha riempito chissà quante pagine dei forum di discussione, ma che mi ha accompagnato per tantissimi anni. Un po’ la marmellata di castagne del mio Mega Drive, non tanto amata dalle folle ma imprescindibile per il sottoscritto. Di X-Men conservo ancora la cartuccia di allora, che come i migliori CD-GD da combattimento conserva ancora i segni del tempo, completamente ammaccata al centro dove si faceva leva per inserirla nella console. Da appassionato di fumetti Marvel al tempo rappresentava per me un po’ il Sacro Graal del picchiaduro a scorrimento dedicati ai supereroi. Citato oggi come un gioco ostico e difficile, dopo anni di partite non nascondeva più segreti, proprio come la tradizione del tempo, basata sull’esperienza e l’applicazione insegnava. Wolverine, Gambit, Nightcrawler, e Cyclops mi hanno accompagnato per anni tra un gioco e l’altro, come solo poche altre cartucce hanno fatto. Del gioco continuerò sempre a ricordare la genialata e maledetta trovata sul finale, dove il Professor X ti invitava a resettare un computer per fermare il virus e non c’era nessun comando con il quale interagire. Si trattava di una cosiddetta “rottura della quarta parete”: il gioco infatti ti invitava clamorosamente a premere Reset sul Mega Drive, qualcosa di impensabile, soprattutto le prime volte dopo che si erano sudate quattro magliette di Sonic per arrivare alla fine ed il tasto Reset della console era l’ultima cosa da premere. Inesorabilmente così i primi tempi si assisteva alla fine della partita come se la cartuccia fosse rovinata. E considerando le condizioni di come si trovava/trova la mia non era da escluderlo a priori!
[/tabs]
[tabs tabname=”Veleno”]

I CULT di Veleno:

Ranger X
Quanti di voi hanno sempre sognato di poter pilotare un gigantesco robottone armato fino ai denti, con tanto di veicolo supplementare per fermare la classica invasione interplanetaria? In questa perla nascosta del Mega Drive potete farlo ed in grande stile.
Ranger X è un concentrato di azione di rara bellezza, uno sparatutto che spingeva il mega drive oltre i limiti con boss giganteschi, livelli enormi ed una grafica piena di esplosioni ed effetti 3D visti raramente in altri titoli.
Il nostro mech poteva volare liberamente nell’area di gioco grazie al jet pack, enfatizzando la natura esplorativa del gioco, mentre il veicolo a due ruote, controllato indipendentemente tramite i tasti X Y e Z aggiungeva un livello di profondità che tanti sparatutto non avevano.
Ranger X resta un gioco per palati fini che cercano uno sparatutto raffinato ed una sfida sopra la media (del tempo).

Dynamite Headdy:
Quando si parla di giochi Cult per Mega Drive citare Treasure è semplicemente necessario. La piccola azienda giapponese sul 16-bit Sega disegnò alcune delle pagine più belle della sua storia, scatenando dal 1993 una reazione a catena con una media qualitativa senza precedenti. Siamo seri: chi potrebbe mai pensare di giocare con il sorriso e senza alcuna costrizione un videogame basato su Ronald McDonald? Con Treasure tutto questo era possibile. La summa di quest’assurda genialità resta però Dynamite Headdy ed il suo scopiettante puppet world. Un mix di follia ispirato da una programmazione sopraffina. Dynamite Headdy è l’approccio più originale che si sia visto al mondo dei platform. A distanza di anni è ancora possibile restare sorpresi per le trovate del titolo, le scelte stilistiche dello stesso e la varietà di soluzioni proposte. Headdy è la trasposizione videoludica del programmatore tipo di Treasure, un matto pronto a lanciare le proprie idee in faccia al videogiocatore per folgorarlo per sempre.

Panorama Cotton:
Panorama Cotton è la dimostrazione videoludica della meraviglia che si nasconde sotto la scocca del Mega Drive. I pochi pratici della console Sega a vederlo girare temerebbero un’esplosione da un momento all’altro della console. Il superbo apparato tecnico si mischia alla familiarità delle meccaniche care a Space Harrier, del quale il titolo appare come il suo più bizzarro tributo. Alle movenze dello scaler si alternano gli intermezzi tipici della saga Success, che come Treasure abitua il giocatore da subito ad un feeling inimitabile. Purtroppo come tutte le streghette anche Cotton porta oltre alle sua innegabili qualità brutte notizie. Il gioco è stato un pugno in un occhio per gli ex detrattori del Mega Drive ma è noto anche per essere molto costoso.

[/tabs]
[/tabset]